Intervista al prof.  Fabiano Petricone, di Metodologie e tecniche della Comunicazione – Accademia di Belle Arti di Bologna

Un corso di comunicazione deve insegnare l’utilizzo di precise tecniche di progettazione pubblicitaria. La teoria deve necessariamente farsi pratica nel dispiegare  i segreti di una disciplina multicanale. Mi ritrovo nel cortile dell’Accademia di Belle Arti di Bologna, colta da un senso di spiazzamento nel vedere studenti alternarsi uno alla volta, davanti ad una videocamera e animati da gesti energici, a pronunciare frasi come:

Sono come un popcorn: se mi scaldi, scoppio.  

Sono come il gas esilarante: ti faccio ridere anche se non voglio.

Sono come il jingle della pubblicità: ti infastidisco ma non mi dimentichi.

Non sono i payoff di nuovi prodotti appena lanciati sul mercato ma le loro autopresentazioni . Raccontare sé stessi attraverso una metafora: è questo che il professor Fabiano Petricone, docente del corso di Metodologie e tecniche di comunicazione del corso di Fashion Design dell’Accademia di Belle Arti di Bologna, ha richiesto ai suoi studenti:

FP: per esercitare la loro capacità di public speaking, per sottolineare l’importanza del bodylanguage  nella trasmissione di un messaggio…Il movimento, il sorriso, raccontano. In questo modo possiamo mandare messaggi poliqualitativi, con più significati, in un’ottica di multimedia.

L’operazione rientra in una serie di briefing che vengono assegnati agli studenti di lezione in lezione. Dopo le autopresentazioni, segue l’esercizio delle Pietà: una pratica performativa di gruppo ispirantesi al teatro di Cesar Brie. Si richiede agli studenti di assumere diverse pose, ritorti su sé stessi o in atteggiamenti  sofferti, ma in perfetta stasi. In questo modo il gruppo si trasforma in una sorta di tableaux vivants, a cristallizzare momenti di simulate sensazioni. Intanto, il tutto viene fedelmente immortalato da fotografie. Al di là della resa estetica della performance, il puro intento dell’esercizio è quello di rafforzare l’idea di team building, della consapevolezza di essere un gruppo. Ma anche quello di dare forma ad un’esperienza.

FP: Prima regola della copystrategy: non scrivere cose che non si è in grado di esperire.

E l’esercizio delle Pietà serve proprio a questo: a rappresentare un concetto o una sensazione provandola prima sulla propria pelle, anche solo immaginandola. L’assunto è che rappresentando un concetto attraverso il corpo, si sarà più capaci di descriverlo attraverso gli strumenti di comunicazione.

FP: Il contenuto che si esprime attraverso una metafora passa attraverso gestualità, espressività, intensità. Se non siete in grado di rappresentare voi stessi, come farete a progettare?  Se non riesci a provare una cosa sulla tua pelle non riesci ad esprimerlo.

Il ritorno in classe prevede una fase di debriefing: gli esercizi svolti in cortile, precedentemente documentati da video e fotocamera, vengono rivisti  al fine di destrutturarne  ed analizzarne le componenti, con e senza audio. In questo modo  gli studenti sono in grado di individuare le informazioni alla base di un’azione di comunicazione e proporne il relativo potenziamento. La lezione prosegue con l’illustrazione teorica delle tecniche di comunicazione. Attraverso il dialogo aperto, la potenza immaginifica degli studenti viene consapevolmente condotta nei temi dell’analisi del target, della progettazione di campagne, tra i segreti della copy strategy e della brand communication. Un confronto e un dialogo diretto in cui ogni singolo individuo è chiamato a partecipare, immedesimandosi in ambo i ruoli di producer e di consumer. La riflessione viene stimolata  illustrando case history e proponendo nuovi brief: agli studenti vengono fornite precise indicazioni di project description per ricontestualizzare una campagna di advertising del passato al mercato attuale. Tempo di lavoro a disposizione: dieci minuti. Approfitto di questo tempo per scambiare due chiacchiere con il prof. Petricone, che spiega il corso nelle sue specificità:

FP: Tutto quello che faccio è basato su protocolli di apprendimento reali, di matrice andragogica. Quello che mi piace fare con la parte creativa è proprio dare forma all’ambiente di apprendimento, innestando l’invenzione creativa sulla base scientifica.

DS: Ha sempre portato avanti questo tipo di metodo?

FP: Ho cominciato nel 2002. A quindici anni di distanza l’ho perfezionato. Devo dire che venendo da consulenze e formazione in azienda ed avendo avuto un passato di pubblicitario sul campo, riesco adesso ad ingaggiare -in senso militare- e stimolare i ragazzi in una maniera abbastanza consapevole su quello che devono fare. E soprattutto, del valore che il mercato richiede, perché uno degli equivoci che ogni tanto si ritrovano ad affrontare è che il mercato paghi la persona. In realtà, ad essere pagate e a generare valore, sono le idee.

DS: Quali sono gli obiettivi del corso?

FP: Fornire competenze che concorrano alla costruzione della figura del fashion designer. Io mi occupo delle competenze legate alla comunicazione e di alcune caratteristiche di managerialità. Negli anni è venuta fuori l’evidenza che questa competenza fa parte del profilo di un fashion designer. Il fashion designer deve essere un imprenditore, così come l’artista di grido. Bernini stesso è stato un artista imprenditore. Per arrivare ad un certo tipo di risultato faccio fare agli studenti cose particolarmente complesse, che passano attraverso la costruzione del team. Il corso propone una didattica interattiva, perchè propone delle attività il cui fine è estrarre parti di competenze su cui lavorare. Parliamo di edutainment, come definizione di metodologia didattica. Loro non devono divertirsi, è più la frustrazione che li fa lavorare. Devono avere ostacoli leggermente sovradimensionati rispetto alle loro capacità: altrimenti non apprendono. Quindi devono imparare ad affrontare ostacoli di volta in volta più difficili da superare.

All’interno dell’Accademia di Belle Arti, moda e arte dialogano tra loro, in una sorta di oscillazione tra idealismo e business. Il corso sfrutta un metodo che mixa ascendenza umanistica e intuito economico – come il Prof. Petricone spiega- usando una didattica di edutainment per fornire competenze attraverso le quali creare valore, senza discernere tra identità professionale e culturale. A tal proposito cita un utile riferimento culturale:

FP: Nicolò Costa parla della figura dell’ “umanista produttivo”, che crea reddito, ricchezza e valore. Egli non si limita a fare speculazione umanistica ma ha anche un impatto sulla società e sull’economia. È quello che cerco di fare con i miei studenti: creare degli umanisti produttivi, anzi, degli artisti produttivi azzarderei. Devono diventare persone che riescono a mettere l’arte in sistemi industriali produttivi e creare con l’arte un valore.

L’intervista di Deborah Santamaria al prof.  Fabiano Petricone, docente di Metodologie e tecniche della Comunicazione del corso di Fashion Design di ABABO – Accademia di Belle Arti di Bologna.